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TI  RACCONTO  DI  ME

 
 
 
 
Lo sai perché sono qui? Per farmi ascoltare mentre ti racconto di me, a te che hai questo noioso libro di storia tra le mani e devi prepararti la lezione di domattina che, sicuramente, toccherà spiegare, visto che quell’odioso di un professore di storia te lo ha promesso, come sfida e punizione all’inopportuno sbadiglio spiaccicatogli addosso nella sua ora di lezione.
 
Ed è inutile che insisti a rivoltare pagine senza l’attenzione necessaria, con la sola speranza di catturare dettagli che ti facciano essere brillante davanti a una cattedra e una platea di illustri tuoi colleghi, che ne sanno anche meno di te, di chi sia io: Federico, per l’esattezza il Secondo della famiglia di Svevia, di cui tanto si parla in ogni tempo.
 
Ti sembra impossibile, vero? Eppure, sono proprio io. Sono il nipote del grande Federico Barbarossa, che già da giovanissimo, in un lontano 1220, si è visto incoronato Re del sud e nord d’Italia, oltre che di Germania e Imperator di Stato, facendo incetta di titoli e potenza, nonostante fossi nato in una tenda nel centro di una piazza della mia amata Jesi.
 
Ma, che sia chiaro, non è stato tutto oro ciò che mi è passato per le mani.
 
Ricordo bene i miei difficili princìpi da Re della Germania, che si consumava in lotte interne tra nobili e altolocati, che son riuscito a debellare bene, giocando con astuzia per mettere zizzania tra di loro ed evitare che si alleassero per combattere il mio potere da sovrano.
 
Ma anche la Chiesa non è mai stata tenera con me, e dopo Innocenzo III ho dovuto fronteggiare la scomunica inflittami dal suo successore, Gregorio IX, che mi voleva lontano dalle mie terre, obbligandomi a organizzare una Crociata contro i musulmani che non permettevano ai fedeli di recarsi in terra santa per pregare. Ma io non volevo che mi si ricordasse come un uomo di guerra ed è bastato l’accordo con Al Kamil, amico di scrittura e Sovrano dell’Egitto, per aprire una porta ai pellegrini senza spargimento di sangue alcuno, approfittando di quel trionfo per accaparrarmi un nuovo incoronamento: quello da Re di Gerusalemme.
 
Capirai bene che questa vittoria non è andata giù per niente al santo papa, che per la rabbia decide di attaccare il regno mio del Sud obbligandomi a difesa e contrattacco, contro quel tradimento che lo ha respinto nel suo piccolo Stato circondato in ogni lato dalla mia potenza, oltre che rimangiarsi la scomunica ed accettar la resa nella sua stessa chiesa, quella di San Germano a Cassino.
 
Finita quella guerra mi sono dedicato anima e corpo al mio amato regno di Sicilia, stravolgendo molte delle antiche leggi, mettendo ordine e scrivendone di nuove, racchiuse tutte nelle Costituzioni Melfitane, raccolte poi nel libro del “Liber Augustalis” che rappresenta il primo vero Corpus Giuridico del medioevo di tutta Europa.
 
Ma detto tra noi, quel mettere ordine alle già importanti regole normanne, alla fine mi ha permesso di sancire un principio autoritario che vuole il Re al di sopra di tutto, tutti ed ogni cosa, per evitare altri possibili tradimenti da parte di invidiosi, ricchi e presuntuosi.
 
Io sono stato sempre contro i nobili e i ricchi possidenti, alleandomi alla scontenta borghesia, che ho messo in condizione di acculturarsi ed istruirsi per fronteggiare gli abusi degli scaltri, i furbi e i prepotenti, dando vita a due università di cui ancora oggi si elogia il loro apostolato: quella di Napoli per il Diritto e di Salerno per la Medicina, senza dimenticare l’amore riversato nella diffusione della letteratura, espressa dalla geniale scuola siciliana con la poesia, ritenendo il dono di trasformare una parola in rima qualcosa di imperioso, molto vicino a Dio.
 
Ma non pensare che abbia fatto solo cose buone, perché anch’io di sbagli ne ho collezionati, come quello di voler aumentare le tasse ai miei amati sudditi, solo per dar sostegno ai funzionari nei loro ampi castelli e governare meglio i miei vasti territori. Lì ho sbagliato e me ne sono reso conto tardi, quando i lavoranti ed i contadini si sono rivoltati contro, tartassati già com’erano da salatissimi dazi da sostenere con le corvèes ai nobili e le decime alla chiesa.
 
Per non parlare di quanto sia stato invidiato, in special modo da chi mi ha accusato di avere avuto troppo a cuore il sud d’Italia, trascurando gli altri regni in mio potere, come quello di Germania che me lo sono trovato nemico per mano del mio stesso figlio Enrico VII, da farmi sentire un po’ come Giulio Cesare pugnalato alle spalle da carne della sua stessa carne. E così tra nobili tedeschi inferociti e comuni lombardi troppo trascurati, ho dovuto sconfiggere i nemici con aspre battaglie, come quella di Cortenuova nel 1237, quando ho battuto la lega nord sottraendole il simbolo della loro autonomia: il carroccio, o la Chiesa e le sue alleate terre marinaie, che mi hanno sfidato senza fortuna in epiche battaglie sopra al mare.
 
La Chiesa… sempre lei, astiosa e preoccupata del mio grande impero, mi ha combattuto aspramente pur di farmi cadere, dandomi dell’eretico e anticristo, con Innocenzo IV che ha provato a destituirmi, ma io non mi sono mai arreso a nessuno, se non una volta soltanto, e non per volontà mia ma per stanchezza, in quel triste giorno del 13 dicembre1250, quando a Castel Fiorentino ho chiuso gli occhi per un istante… ma da quel buio non sono più tornato.
 
Chi mi ha seguito, figlio a me assai caro, non è riuscito a mantenere il comando su una così vasta terra, cedendo sul campo di battaglia a Benevento tutto il potere in mano agli Angioini, che da Palermo hanno spostato a Napoli il loro trono.
 
Ecco… detta tutta d’un fiato, questa è la mia storia di vita; quella di un Re filosofo: Federico II di Svevia, ricordato sui libri di storia come lo “Stupor Mundi” perché il più moderno che ci sia mai stato tra gli uomini che hanno governato terre, per fare ricco ed importante il Sud di questa lunga Italia che oggi, come allora, continua a farsi guerre di potere tra guelfi e ghibellini, con ricchi sempre più nobili e poveri senza più bocca neppure per mangiare.
 
... … …
 
Quando alla mattina Massimiliano aprì gli occhi, destato dal suono della sveglia sul comodino, si lasciò scuotere il corpo da un fremito che gli percorse tutta la schiena. Si meravigliò all’idea che quanto avesse vissuto in quell’incontro irreale, da farlo somigliare a un dono portato lì dal vento, fosse solo frutto della sua mente che aveva elaborato un sogno, conseguenza, forse, della lunga lettura fatta la sera precedente per studiare la vita di Federico II di Svevia.
 
Non riuscì a ricordare tutto quanto avesse sognato nella notte, ma fu orgoglioso di chiudere la sua interrogazione citando una frase sull’idiozia umana, che gli sembrò suggerita da una voce dentro di sé, che immaginò appartenere a lui, a Re Federico, straordinario uomo di potere e di cultura, che conosceva sei lingue e amava la Sicilia e la sua nobile poesia: “Insensati come siamo, noi vogliamo conquistare tutto, come se avessimo il tempo di possedere tutto!”

 
 



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