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Oh, mio Dio! Non ci posso credere... Non posso essere io quella lì!
Mi gira la testa e sento il respiro sempre più affannato nel petto, come se avessi sul cuore un peso opprimente che lo fa battere a folle velocità da farmi paura; paura di morire!
Vorrei sparire. Piangere e poi accorgermi che è soltanto un brutto sogno, che tra poco mi lascerà svegliare e tutto sarà ricordato come un maledetto incubo.
Poi, un’immagine chiara mi blocca: c’è del fumo che sale.
Fumo grigiastro che si colora di blu quando è colpito da un fascio di luce. Una spirale sottilissima che sale sempre più su, tipica del fumo di una sigaretta, che qualcuno mi sta mettendo tra le labbra e mi chiede di ispirare.
Una vera e propria smania nervosa, che a molti fa pena e tanti, troppi altri, fa solo divertire.
Sul letto, testa infossata nel cuscino e gli occhi chiusi per nascondermi al mondo, piango e mi dispero, ma… non basta… Non riesco a tranquillizzarmi!
Resto immobile, prigioniera della mia stessa inquietudine, e mi rendo conto che non va bene; devo assolutamente reagire. Mi alzo e corro in bagno.
Sono sola in casa, per fortuna. Non dove spiegare a nessuno perché ho questa brutta faccia, che riflessa allo specchio mi spaventa per quanto sia afflitta e desolata.
Meglio tornare nella mia camera e scappare da quel brutto volto sullo specchio.
Afferro il cellulare… Forse mi sarò sbagliata… Non sono io quella che si sta facendo baciare da due ragazzi ed ha la camicetta sbottonata ed il seno scoperto… NO!!! Non sono io…
Ma c’è il mio nome sotto questa foto ed i commenti sono tutti diretti a me e la mia sfacciataggine da ragazza ubriaca, che si è lasciata tramortire dall’alcool, la musica della discoteca e due idioti bastardi, che abusando di me, incosciente e stordita, mi abbracciano, mi stringono, mi baciano e mi toccano ovunque, strusciando le loro luride mani nella mia camicetta, sbottonata per palpeggiarmi, sapendo che qualcuno è lì ad immortalare la scena… imprigionarla in uno scatto… un solo unico fotogramma che basterà a rovinarmi l’esistenza.
Come ho potuto essere tanto stupida nel cedere totalmente all’alcool e non sapermi opporre a quelle mani violente? Perché non ho reagito… Perché non ci sono riuscita… Perché nessuno mi ha aiutata!?
Quanto vorrei cancellare all’istante tutti i commenti contro di me, che si stanno alternando su questa maledetta pagina Social a folle velocità.
Sto male. Provo con la mano a ravvivarmi i capelli e con loro anche i pensieri, da riordinare per poter scrivere qualcosa di credibile a mia difesa, per quello che è solo un maledetto inganno, ma… cancello prima di inviare il messaggio. Nessuno mi capirebbe; la foto è troppo esplicita.
Bloccata, come ostaggio di un incantesimo, resto a fissare la foto fino a quando gli occhi sono obbligati a chiudersi per le lacrime che pungono e scendono a bagnarmi la faccia ed il cuore.
Di sicuro non uscirò più di casa… perché non basterà dire a tutti che non ero me stessa in quella foto… Che non è vero che sono una ragazza superficiale… e che non è giusto infliggermi questo sopruso che è uguale ad un abuso, ad uno stupro intimo, carnale... L’ennesimo perpetrato ai danni di una donna sola ed indifesa, violentata nella dignità per colpa di un perfido inganno, che non mi permette di difendermi.
Mentre sono stesa sul letto un’ansia terribile punge tutto il mio corpo, come spilli arroventati, da obbligarmi a raggiungere la finestra e cercare una via di fuga in mezzo alle nuvole, come facevo da bambina.
Nella bocca sento il calore dolciastro del sangue che mi sporca la punta della lingua, e mi accorgo di aver dato un morso troppo forte alla guancia dall’interno della bocca per la rabbia. Sto impazzendo!
Esco dalla mia stanza e mi muovo confusa per casa, in preda ad una furia che mi fa stare da schifo… mentre il cellulare nella mano si ostina a mostrarmi la fotografia di me insieme a quei due!
Devo assolutamente rilassarmi e mi impongo di spegnere il telefono e con lui disconnettermi totalmente da questa ingiuria… anche se la mente resta connessa, costantemente in linea con i tormenti che mi ribollono dentro.
Ma come si fa ad essere così sprovvedute da non rendersi conto di quanto fossi ubriaca, priva di qualsiasi inibizione, mentre due balordi abusano della mia incoscienza?
Come saprò sopportare questo malessere senza cedere alla volontà di uccidersi per la vergogna?
Di sicuro quella foto è opera di qualcuno che frequenta la mia scuola; un posto dove non ci si sta bene come dovrebbe, perché è pieno di ideali razzisti, di bulli e cuori malefici, che per vincere la noia rovinano l’esistenza di qualcuno, immolato a loro passatempo di giornata, solo perché incapace di reagire.
Da sempre esistono le discriminazioni a scuola, frutto di una legge non scritta da parte dei più forti su quelli deboli: i famosi sfigati… O delle strafighe contro le ciccione e il gruppo degli stupidi prepotenti che si accanisce sull’omosessuale e il timido di turno, da ridicolizzare per rovinargli la vita.
Io non saprei dire a qualche categoria appartengo, forse delle secchione che studiano poco e prendono voti alti, generando tanta invidia e cattiveria, soprattutto se non sei disponibile ad aiutare nel passare i compiti in classe o immolarti al posto di altri nelle interrogazioni volontarie.
Oddio, è quasi ora di mangiare. Ho promesso a mia madre che avrei preparato qualcosa. Però non devo farmi trovare in questo stato… non saprei mentirle e nascondere questa ansia che mi sta divorando.
Provo ad impegnarmi ai fornelli con la speranza che anche il pensiero si possa distrarre, alleggerendomi il peso che sento sempre più forte sul cuore.
Quando rientra mamma dall’ufficio, faccio di tutto per presentarmi con un’aria serena, sommessa solo per colpa del mal di testa che mi ha tenuto tutta la mattina bloccata nel letto… nella speranza che basti questa bugia per non subire il suo interrogatorio.
Il pomeriggio trascorre come una lenta agonia. Le lancette dell’orologio sembrano incollate tra loro, scandendo un tempo inesorabilmente lento e pesante da sopportare.
Mi hanno cercato Antonella e Luisa, le mie due amiche che frequento da sempre, ma non ho voglia di parlare con nessuno oggi… Nessuno può capire il mio dolore.
Neanche a loro saprei spiegare perché non so reagire di fronte ad una foto, che avranno sicuramente già visto, e che mi tiene bloccata in casa per la vergogna, colpevole di un reato che non ho commesso, anche se la fotografia sembra dire tutt’altro.
Quando arriva sera mi rendo conto di non essere stata capace di opporre nessuna reazione. Ho solo pianto e pregato Dio che fosse un brutto sogno da cui svegliarmi… Ma non sto dormendo: è dura realtà!
Riaccendo il cellulare e ci trovo alcuni messaggi non letti, l’avviso di due chiamate che non mi hanno potuto raggiungere e la foto che… è ancora lì a collezionare commenti ed offese su di me.
Provo a convincermi di essere vittima di un complotto, architettato da qualcuno che mi vuole del male; invidioso del mio essere solare e disponibile sempre al confronto e il dialogo.
Mi concentro a rielaborare frammenti della serata in discoteca… di quel sabato sera, pieno di gente a ballarmi intorno. Sono finita in quel posto con due amici perché non avevo altri programmi, se non quello di rasserenarmi, dopo una settimana dura di scuola e compiti a casa.
Ero serena, fino quando ho incontrato Damiano che mi ha raccontato di Luigi, un nostro amico in comune, che due sere prima è venuto a mancare per colpa di una leucemia fulminante che se l’è portato via in tre mesi.
La notizia mi ha scioccata. Non avrei mai immaginato che alla mia domanda, nel chiedere dove fosse finito il nostro amico di giochi nel cortile, mi venisse risposto con una sentenza dolorosissima. In un istante la tristezza si è impossessata di me e dei miei pensieri, che si catapultano a ricordarmi Luigi; il mio primo amore infantile!
Senza rendermene conto, quella notizia mi ha sconvolto al punto da non saper rimediare all’improvviso dolore che mi ha avvinghiato completamente, intristendomi al punto da essere obbligata a bere qualcosa di forte per provare a lenire un po’ la sofferenza che si era impadronita di me.
Ho bevuto un super alcolico… e poi un altro… e subito dopo un altro ancora, mentre la testa iniziava a girarmi sempre di più.
Quanto più bevessi, tanto più la musica intorno si ovattava, da sembrare provenire da dietro un vetro.
Credo che al quarto… o (forse) il quinto mojito non ero più in grado di capire neppure dove mi trovassi. Ho perso di vista i miei amici e tutte le facce si sono confuse diventando estranee, sconosciute, come quelle che mi stavano addosso per ballare, abbracciarmi, baciarmi e toccarmi…
È stato il mio amico Davide a liberarmi dai due ragazzi, spingendomi fuori dal locale, mentre la testa mi girava vorticosamente e la bocca la sentivo impregnata di uno strano odore di fumo.
Usciti per strada sono caduta all’indietro, planando col sedere sul marciapiedi. Ho iniziato a piangere, senza sapere perché lo stessi facendo, e subito dopo ho vomitato, poi... poi, non ricordo più niente!
A casa mi ha portato Davide. Me lo ha confermato il giorno dopo, quando mi ha telefonato per chiedermi come stessi e se la sbronza notturna fosse passata.
È successo tutto in pochissimo tempo e mai avrei immaginato che al lunedì della settimana successiva, qualcuno si fosse divertito a pubblicare la mia foto: quella di Cristina della Seconda B, immorale e svergognata, mentre si fa toccare senza ritegno “da due ragazzi… come una puttana!”
Ritornare a vivere quel maledetto sabato in discoteca ha acceso nuova rabbia e sconforto in me, facendomi scendere di un altro gradino la scala del dolore.
È notte fonda, ma è impossibile dormire, così mi alzo e vado in cucina per bere un po’ d’acqua, lasciandomi attrarre lo sguardo dal coltello che è rimasto sul tavolo. Lo prendo, fisso la sua punta e l’avvicino al polso della mano.
Basta un taglio netto ad entrambi le vene e… finisco di soffrire.
Ma ci vuole coraggio anche per farsi del male… ed io quella forza non ce l’ho.
Per fortuna la paura mi frena dal compiere un gesto estremo quanto insensato. Poso il coltello, abbandonando l’idea di usarlo e torno nella mia stanza, umiliata dalla mia stessa vigliaccheria a non saper essere risoluta neppure nel farmi del male da sola.
Mi sdraio sul letto e provo a chiudere gli occhi… ma non funziona.
Prendo le cuffiette e le collego al telefonino, con la speranza che la musica possa stanarmi ed obbligarmi a dormire e riposare… almeno fino domattina.
Ma la notte si mostra arcigna ed agitata, obbligandomi a continui rigiri nel letto ed occhi spalancati d’improvviso nel buio, per cancellare all’istante le immagini che si accendono davanti ai miei occhi per riportarmi sempre lì, in quella maledetta discoteca, tra luci soffuse e la musica assordante intorno a me… i tanti bicchieri di alcool bevuti e i due ragazzi che neppure conosco, che parlano e mi ballano accanto, sempre più vicini per braccarmi… starmi addosso… sfiancarmi!
“Io non fumo… Non so fumare” – grido a qualcuno che non sente ed insiste a farmi tirare su. –
Una prima boccata e poi subito dopo una seconda, mentre due mani mi sfiorano i seni, mi accarezzano i capelli e mi spingono contro il muro.
Rivivo immagini sconnesse, messe in fila casualmente, che però mi permettono di comporre la scena finale: io a fumare qualcosa che non voglio, mentre due ragazzi mi ballano accanto, mi stringono a loro e mi toccano senza che opponga resistenza, perché non so farlo… non ci riesco, con la testa che mi gira e il suono della musica che mi arriva da lontanissimo, distante anni luce da me.
Chiudo gli occhi per cercare di fermare le lacrime, e nel buio prodotto dalle mani schiacciate contro la faccia prego Dio, che mi aiuti a venir fuori da questa oppressione che mi sta facendo impazzire.
Mi impongo di dormire, ordinandolo categoricamente alla mia mente e mi concentro sul buio prodotto dagli occhi serrati al mondo, ma serve a poco, il peso sul cuore si fa sempre più insopportabile e la mente non sa fare di meglio dell’accanirsi a tirar fuori dai cassetti della memoria nuovi dettagli, che infieriscono su me: la camicetta sbottonata, il fumo di sigaretta che sale sempre più su e… poi… poi…
Poi… con vigore e prepotenza si fa spazio un particolare, mai risaltato prima.
Tra le persone che mi circondano noto un viso conosciuto. Un volto che non c’era quella sera, perché non l’avevo visto… o forse arrivata da poco o… peggio ancora, si era nascosta da me.
Mi concentro a ricordarmi di più e quel volto davanti a me si mostra chiaramente con la faccia paffuta di Antonella Surace, quella del primo banco in classe mia. La grassona che non riesce ad entrare dalla porta dell’aula se non messa di lato, e che le servono due posti nel banco per starci bene.
Sì, è proprio lei, la Surace; quella che ci fa divertire, sempre disposta ad accettare di farsi prendere un po’ in giro da tutti senza lamentarsi mai, e che la trovi spesso ad ingoiare merendine, biscotti e patatine ad ogni ora della giornata.
In classe un giorno ci ha spiegato che la sua è una malattia della mente, che la porta ad alimentarsi in maniera incontrollata, mangiando di tutto, continuamente e in maniera vorace perché è una reazione istintiva e rabbiosa all’incapacità del suo metabolismo a dimagrire.
A scuola è sempre solitaria, non ha amiche con cui parlare ed è presa in giro da tutti, anche se è diventata una diva di YouTube, perché ogni settimana c’è qualche nuovo video su di lei, per come si veste, parla, si muove o cammina nei corridoi.  
Ed ora che ricordo, anche io l’ho filmata con il cellulare qualche settimana fa, mentre era giù nel giardino, nascosta dietro un platano a divorare un panino, con la paura di farsi scorgere da qualcuno.
È stata una scena comica, lei con quella sagoma eccessiva, a malapena nascosta dal fusto dell’albero, che ingurgita un panino in meno di tre bocconi.
Qualche giorno dopo, con lei assente da scuola, ho fatto vedere il video alla classe. Un video innocuo, divertente, come tanti altri fatti tra noi ragazzi per condividere qualcosa di buffo ed ironico.
Qualcuno lo ha trovato molto spassoso e mi ha chiesto di pubblicarlo sulla nostra pagina privata, quella di un Social nel quale sono iscritti solo alcuni della mia classe. Ho accettato, perché non ci ho trovato nulla di pericoloso, pentendomi di quell’imprudenza qualche giorno dopo, davanti all’affermazione di Antonella che mi ha dato della “stronza insensibile”.
Le ho risposto anche in malo modo perché non sapevo a cosa si riferisse, avendo cancellato completamente dalla mente il video che avevo pubblicato sulla pagina della classe, dalla quale qualcuno, però, lo aveva scaricato ed inoltrato su uno spazio web di video amatoriali, citandolo come quello della “Grassona che gioca a nascondino mangiandosi il panino”.
“Te la farò pagare… Giuro!” è stata la minaccia sbraitatami contro, nonostante avessi provato a spiegarle di non essere stata io a pubblicare il video sul sito pubblico. Ma lei non ha voluto credermi e se ne è andata urlando che “mi sarei pentita di quello che le avevo fatto!”
E così è stato. La sua vendetta l’ha consumata il sabato sera di qualche settimana dopo, alleandosi la complicità di due bulli, che hanno approfittato del mio essere ubriaca, debole e incapace di ribellarmi alle loro mani e il loro fumo drogato, che mescolato all’alcool mi ha fatto cedere al peggio... a quella posa indegna, che mi ha intrappolata nella stessa rete in cui avevo spinto qualche giorno prima Antonella.
Maledetto Internet e la frenesia che scatena in noi, per il gusto egocentrico di voler essere sempre connessi e protagonisti di noi stessi, senza considerare mai che, alla fine, diventiamo vittime inconsapevoli di un sadico gioco a farsi del male.
Quanto vorrei tornare indietro e non aver mai umiliato quella ragazza al primo banco, per il suo aspetto fisico e quell’irrefrenabile necessità di mangiare di nascosto e di continuo, che è solo una punizione che si autoinfligge, e non fa altro che farla ingrassare ancora di più e disprezzare a se stessa.
Ho sbagliato ad ingiuriarla ripetutamente con commenti, sguardi e azioni di irrispettosa violenza morale, che adesso so bene quanto faccia male, perché l’ho subita per un solo giorno ed ho creduto di impazzire, mentre lei la sopporta da sempre… da ogni giorno che entra a scuola.
Dopo qualche ora di sonno, a cui ho ceduto solo per stanchezza, sento in cucina i rumori dei passi di mia madre che sta preparando la colazione. La raggiungo e la stringo fortemente a me, come a dovermi conciliare con lei per qualcosa da riparare attraverso un abbraccio silenzioso.
Lei si lascia legare a me senza opporre resistenze e dopo avermi baciato la guancia, mi chiede come sto.
«Sto bene, mamma e stamattina torno a scuola.» Ci ritorno perché ho capito i miei errori.
Quel peso sul cuore, che adesso non sento più, mi ha permesso di scoprire una nuova donna in me, che vuole provare a correggersi e rimediare con Antonella. E non importa se cancellerà la foto all’istante o vorrà vendicarsi ancora un po’ su me, per compensare le offese che quotidianamente riceve e le fanno solo aumentare il peso invisibile che si ammassa sul suo piccolo cuore.
Voglio sapermi perdonata e ci proverò con tutta me stessa, chiedendole di farmi posto accanto a lei, perché da questa mattina avrà una nuova compagna con cui condividere il suo banco e con la quale, se proprio non riesce a trattenersi, dividere il suo panino... così le farà un po’ meno male, mangiandone solo metà!


(racconto premiato al concorso letterario nazionale "LA CASA DI ELENA")


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